Un perfetto paio di gambe



di Diego Julio Vinicio Melendez


Fu forse per un eccesso di tranquillità che Onorio Casales, un giorno, nel percorrere lo stesso tragitto che d’abitudine lo riportava verso casa, si trovò invece in un luogo dove non era mai stato. Strano! — pensò — Ero sicuro di conoscere ormai ogni angolo di questa parte della città.

Non era ancora il crepuscolo, e c’era luce sufficiente per guardarsi intorno e cercare di orientarsi. Il posto aveva però un che d’indefinibile: pur essendo piuttosto ampio — quasi quanto un campo sportivo, avrebbe detto — sembrava coperto come da un’alta tettoia. Sarà stata l’aria, piacevolmente fresca ma senza vento, o magari le fronde degli alberi, i cui tronchi slanciati vedeva svettare qua e là, comunque gli dava l’impressione d’essere al tempo stesso al chiuso e all’aperto.

Una moltitudine di persone si stava lentamente radunando, come in attesa dell’inizio di uno spettacolo, di un concerto o d’un evento particolare, e si capiva che di lì a poco l’intera spianata sarebbe stata stracolma di spettatori. Doveva essersi distratto, e aver seguito soprappensiero l’affluire di tutta quella gente.

Nel frattempo, chi era giunto tra i primi aveva trovato posto su un panchetto, su un divano o su una panchina. Con calma, quelli che ancora sopraggiungevano cercavano anche loro dove accomodarsi. Evidentemente era il caso di fare lo stesso e, come molti altri, Onorio non trovò di meglio che allungarsi direttamente a terra, dove si sorprese di stare alquanto comodo, forse perché c’erano dappertutto cuscini di varie forme e colori sui quali appoggiarsi.

Casualmente — ma esisterà poi davvero, il caso? — venne a trovarsi accanto a una brunetta dai lineamenti minuti e dai capelli vaporosi che gli piacque all’istante, e che pur senza fare alcunché di particolare lo fece sentire subito a suo agio. Avrà avuto vent’anni o poco più, molti meno dei suoi, in ogni caso, e non sembrava stesse con qualcuno, ma quel che lo colpì — quasi lo ipnotizzò — furono le gambe, scoperte dal ginocchio in giù, lisce e dalla forma perfetta.

Come fosse la cosa più naturale del mondo, Onorio allungò una mano e le accarezzò con molta delicatezza una caviglia. La ragazza, che fino allora non aveva dato segno di averlo notato, si voltò e lo fissò negli occhi, leggermente accigliata. E adesso, cosa vuole, questo? — sembrò pensare — ma non disse una parola, si limitò a scrutarlo per un attimo, poi distolse lo sguardo, dissimulando un sorrisetto malizioso.

Onorio non riusciva a staccarsi da quella pelle, così soda, morbida e profumata, e quasi senza che lui volesse la sua mano risalì a poco a poco verso il ginocchio di lei. La ragazza fece all’inizio finta di nulla, ma invece di allontanarsi gli si accostò quasi impercettibilmente, dandogli modo di proseguire, e un attimo dopo, con un movimento fluido impossibile da descrivere, si girò al contrario, rimanendogli distesa accanto, così da mettere alla sua portata le belle gambe in tutta la loro lunghezza, meravigliosamente rilassate e con le ginocchia appena piegate. Gli rivolgeva leggermente le spalle e sembrava guardare altrove, con noncuranza, ma il contatto della pelle rendeva evidente quanto le piacesse lasciarsi carezzare. Chissà… se non si fossero trovati in mezzo a tutta quella gente — si chiese Onorio più tardi — avrebbe magari avuto il coraggio di osare di più? Oppure si sarebbe accontentato di accarezzarla indefinitamente? Allora non ci pensò neppure: contava solo la magia di quel momento, e tutto il resto era dimenticato.

Poi, improvvisa, udì la voce di un uomo: «Signor Casales? Mi sente? Va tutto bene?» «Benissimo» — rispose lui, ancor prima di aprire gli occhi. E neppure tentò di spazzar via quel sorriso beato che gli era rimasto impresso sul volto.

_____
¯¯¯¯¯

Nessun commento:

Posta un commento