Venti battiti del cuore (La danza della linea)



di Diego Julio Vinicio Melendez


Un improvviso bagliore lo costrinse a chiudere gli occhi. Non c’erano oggetti che lo spingessero, o che potessero ferirlo, non esisteva l’aria bruciante, né quelle mani che lo tastavano, succedendosi l’una all’altra, talora urtandolo, talaltra sfiorandolo appena. Il mondo intero lo respingeva, insopportabile, ma era lui che rifiutava il mondo, semplicemente non esisteva, ecco.

Pure, nell’oscurità che s’era creato, quel lampo inatteso aveva lasciato una traccia, un solco sottile e sfuggente come un orizzonte remoto, inafferrabile. Una piega incomprensibile tra passato e futuro, che per il semplice fatto d’esistere non poteva star ferma. Ed aveva all’istante iniziato a muoversi, ondeggiando in quello spazio indefinito, dapprima dolcemente, poi inarcandosi, annodandosi e sciogliendosi, moltiplicandosi in un pullulare di vibrazioni, per rifondersi infine in un unico movimento.

Era quella danza affascinante, capace di generare inesauribili variazioni, che gli impediva di tornare al passato, a quando la linea ancora non era comparsa. Veniva voglia di seguirla, quella strana forma in continuo mutamento, di acchiapparla per la coda e farsene trainare… chissà, fino a quali meraviglie lo avrebbe portato!

Ma intanto s’era rinnovata ancora una volta, non si limitava più a ondularsi e serpeggiare. Neppure aveva notato che avesse un colore fin quando non s’accorse che questo cambiava, misteriosamente adattando le sue sfumature all’intensità delle vibrazioni, che così divenivano ora più morbide e calde, ora più fredde e aguzze. E il colore giungeva a donarle anche uno spessore, quasi avesse in sé, per sua natura, qualcosa di materiale, di corporeo.

Colore e movimento poi, ancor più misteriosamente, si univano a formare un suono, e non si capiva bene se venisse prima l’uno e poi l’altro, o viceversa. Quando la danza della linea cambiava, colore e suono la seguivano in armonia perfetta; quando quella si scomponeva, anche loro si moltiplicavano sovrapponendosi, per tornare un attimo dopo a riamalgamarsi tutti insieme.

In qualche modo, il ritmo di quell’inarrestabile movimento era scandito dal pulsare del corpo che, come risuonando, finì per riconquistare una sua consistenza. L’energia della luce, che fino allora s’era condensata soltanto nella linea e nelle sue fluttuazioni, quasi si fosse accumulata fino a non poter più essere trattenuta dalla fantasia, improvvisamente esplose in tutta la sua forza, ed il suono che proruppe non fu più soltanto immaginato, ma si propagò all’esterno.

Potente fu il grido che infranse il silenzio e risvegliò la tempesta dei sensi, ma ormai sapeva che non era quello il suo destino. Era invece conservare quella danza e quell’armonia, e superare quella linea per poterla ricreare, uguale ma diversa, nell’andare incontro a un altro essere umano.

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