SCHEDA DI LETTURA — di Aurelio Rocco Solina
Mario Liverani,
Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele,
Laterza 2003.
Nel
quadro delle vicende storiche del Vicino Oriente antico, la terra di
Israele — l’antica Canaan successivamente denominata dai Romani Giudea (Iudaea) e infine Palestina (Syria Palaestina)
— costituisce un caso più unico che raro in quanto, a differenza di
quanto accadde per i paesi circonvicini della stessa epoca, ci è stata
tramandata — con l’Antico Testamento (la TaNaK degli Israeliti) — una
ricca documentazione, a testimonianza di un’elaborazione storica
avvenuta già nei secoli che precedettero l’Era Volgare. Il prevalere
della documentazione letteraria e testuale sulle testimonianze
archeologiche ed epigrafiche — nella zona peraltro relativamente scarse —
ha inevitabilmente caratterizzato buona parte delle numerosissime opere
dedicate al tema, che del "racconto biblico", pur contestandone
talvolta su singoli punti la validità, hanno sostanzialmente adottato la
trama. All’opposto di questa "storiografia tradizionale", le correnti
più "critiche" o "postmoderne" che pretendono, smantellandolo pezzo dopo
pezzo, di negare al "racconto biblico" ogni validità storica, finiscono
per trovarsi alle prese, sulla base degli scarsi reperti oggettivi
disponibili, con le vicende di uno dei tanti regni palestinesi che
vennero spazzati via dalla conquista imperiale dapprima assira e poi
babilonese, una storia che si rivela di ben scarso interesse se non per
lo specialista.
In questo suo saggio, lo storico Mario
Liverani ricostruisce in modo affatto originale le vicissitudini del
"popolo ebraico" nel periodo che va dalla sua "etnogenesi", collocabile
all’epoca della crisi finale del Tardo Bronzo nel XII sec. (tutte le
date sono da intendersi a.e.v., ove non altrimenti specificato), fino
all’affermarsi e al consolidarsi del giudaismo (nel IV sec., in seguito
al ritorno dall’esilio babilonese) in una tradizione teologica e
testuale, e in pratiche di culto già abbastanza simili a quelle attuali.
Per la sua ricostruzione storica Liverani tiene conto dei risultati
della critica testuale e letteraria, e si basa principalmente sui
rinvenimenti archeologici ed epigrafici, ma valorizza anche, invece di
scartarli tout court — ed è forse questa la caratteristica più
innovativa del suo approccio — i testi biblici per le informazioni che
essi sono in grado di fornire sulle motivazioni e sugli intenti degli
autori, e di conseguenza sulle situazioni socio-politiche esistenti al
momento della loro redazione. Un’accorta analisi dei testi consente
infatti di distinguere i contenuti originari dalle aggiunte e dalle
manipolazioni successive, e di ricondurre i singoli contributi alle
epoche corrispondenti. Il metodo storiografico adottato e l’impostazione
che ne consegue evidenziano la doppia valenza del lavoro dello storico,
che non è mai "neutrale", né può esserlo: da un lato, ogni storia è
rielaborazione e riscrittura (quando non, in taluni casi, "costruzione" o
"invenzione") degli accadimenti; dall’altro, fra i compiti dello
storico v’è anche quello di demistificare e decostruire versioni
storiche chiaramente finalizzate al raggiungimento di obiettivi
ideologici o politici contingenti. Nel caso in esame, decostruzione e
ricostruzione risultano in una "doppia storia" del "popolo ebraico". La
prima è la storia "normale" — e piuttosto banale — di un paio di regni
dell’area palestinese che, come s’è detto, ebbero uno sviluppo e una
sorte del tutto analoghi a quelli dei paesi vicini, e che si conclusero
con le devastazioni e le deportazioni conseguenti alla conquista
imperiale.
Tra
il crollo dell’impero assiro e il sopravvento di Babilonia (ca.
640-610), però, uno di questi regni, quello di Giuda, poté approfittare
di alcuni decenni di autonomia della regione per tentare di espandersi
al Nord, e le sue classi dominanti (il re, la sua corte, i sacerdoti)
pensarono di sostanziare le loro mire sia sul piano religioso
(accentuando il monoteismo yahwista e la legge "mosaica") sia su quello
storiografico: nel 622, un antico manoscritto, il «Libro della Legge»,
venne "casualmente" rinvenuto nel tempio di Gerusalemme, e consegnato
dal sommo sacerdote al re Giosia, il quale ne prese spunto per la sua
riforma religiosa. Dopo la sconfitta e la distruzione della capitale
Gerusalemme, le élite deportate a Babilonia si servirono di questa
ideologia già parzialmente elaborata e — come spesso accade —
l’accentuarono ulteriormente per resistere all’assimilazione e per
mantenere una identità "nazionale". Quando poi Babilonia venne a sua
volta sconfitta dai Persiani e agli esuli fu concesso di far ritorno al
paese d’origine, questi si servirono dello stesso corpus dottrinario,
ormai ben consolidato, per prevalere su quanti erano rimasti (o erano
subentrati) nel territorio palestinese e per realizzare, coerentemente
con esso e con la loro esperienza durante l’esilio, una città-tempio sul
modello babilonese, pretendendo di ripristinare quel regno unito, quel
tempio unico e quella legge — basata sul patto esclusivo con Yahveh —
che avevano favoleggiato come già esistenti nel lontano passato. Fu così
che una storia eccezionale, seppur completamente "inventata", andò a
giustificare e a costituire la base per la fondazione di una identità
nazionale (Israele) e religiosa (il giudaismo) che si sono mantenute nei
secoli e che tanta parte hanno avuto negli sviluppi storici successivi a
livello mondiale; occorre infatti tenere a mente che dal monoteismo
ebraico si sono successivamente sviluppati, in parte contrapponendosi,
ma conservandone caratteristiche importanti, prima quello cristiano e
poi quello islamico.
Coerentemente
con questa impostazione di metodo, la trattazione si articola in due
parti principali: "Una storia normale" e "Una storia inventata",
precedute da un antefatto (un unico capitolo, intitolato "Imprinting",
che riassume l’impatto determinante della cultura egizia), e separate da
un "Intermezzo" (tre capitoli, dedicati alla cosiddetta "età assiale" e
alle conseguenze dell’esilio babilonese); un breve "Epilogo" raccoglie
poi le conclusioni principali. Lo schema cronologico (tratto, con
qualche modifica, dal volume) consente di cogliere il sostanziale
parallelismo tra le due vicende: "storia normale" e "storia inventata"
corrispondono rispettivamente alle ultime due colonne sulla destra.
La
lettura del volume ci sembra possa risultare di grande utilità a chi
sia interessato ad approfondire le origini del monoteismo e le vicende
storiche che portarono alla sua diffusione. All’epoca della sua
pubblicazione, l’opera di Liverani suscitò inevitabili polemiche fra i
credenti più tradizionalisti, ma neppure un noto biblista quale il Card.
Ravasi — pur rivendicando l’autonomia della teologia rispetto
all’accertamento della verità storica — ne contestò l’impostazione di
metodo né la fondamentale validità delle conclusioni (vedi, ad esempio,
una sua intervista del 2004 su toscanaoggi).
Queste smentiscono definitivamente qualsiasi accettazione letterale e
acritica di quanto codificato nelle Scritture, atteggiamento che tanto
ha nuociuto — e continua tuttora a nuocere — al progresso, allo sviluppo
e alla diffusione della conoscenza scientifica.
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Per approfondire l’argomento, prosegui la lettura:
• Oltre la Bibbia: storia ‘normale’, e un po’ banale (parte 1ª)
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